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Ilaria Cavo

Ilaria Cavo, 38 anni, genovese, è giornalista Mediaset, conduttrice delle fasce di approfondimento di Tgcom24 (sui vari temi dell’attualità), inviata di Matrix e opinionista dei programmi Videonews (in particolare nel ramo della cronaca nera e giudiziaria). Numerosi i casi seguiti negli ultimi anni: da Cogne alla strage di Erba, dal giallo di Garlasco a quello di via Poma, dal massacro di Novi Ligure al delitto di Sarah Scazzi, fino alla tragedia della Costa Concordia. Prima dell’assunzione a Mediaset ha collaborato, per 5 anni, con la trasmissione Porta a Porta (come inviata, anche in questo caso, sui fatti di cronaca, in particolare del Nord Italia). Alle emittenti nazionali è arrivata dopo cinque anni di esperienza nella tv regionale ligure Primocanale, di cui è stata direttore responsabile dal 2001 al 2006 e, in particolare, dopo la conduzione di una diretta non stop sui fatti del G8 di Genova (luglio 2001). Al lavoro principale di giornalista televisiva affianca quello di scrittrice.
Dal 2006 è autrice della collana “Strade Blu” di Mondadori per la quale ha pubblicato tre saggi: “Diciassette omicidi per caso - storia vera del serial killer Donato Bilancia” (un saggio che nasce da una serie di incontri in carcere con il pluriomicida); nel 2007 ha pubblicato “La chiamavano Bimba – Annamaria Franzoni nei racconti di chi l’ha conosciuta” (in cui ha descritto la mamma di Cogne tramite testimonianze e documenti inediti). Infine, nel marzo 2010 ha pubblicato il volume “Cortocircuito – Storie di ordinaria ingiustizia” (in cui ha ripercorso casi ignoti di clamorosi errori giudiziari).
Numerosi i riconoscimenti: nel 2002 ha ottenuto anche il Premio Nazionale di giornalismo Saint Vincent, patrocinato dalla Presidenza della Repubblica, per la conduzione della diretta nei giorni del G8 genovese; nel 2007 ha ottenuto un secondo riconoscimento nazionale: il premio Ischia per il giornalismo televisivo, sezione under 35, per il lavoro svolto durante la collaborazione con la trasmissione Porta a Porta.

Il cortocircuito: storie di ordinaria ingiustizia
Un professionista dalla vita tranquilla, Ennio Paolucci, ingegnere dell’Anas, vittima di innumerevoli e interminabili processi e additato come responsabile di incidenti dovuti invece a tragiche fatalità. Un pensionato dall’esistenza irregolare, Sandro Vecchiarelli, erroneamente incriminato per la scomparsa di una giovane amica, Chiara Bariffi, nelle acque del lago di Como. Un ragazzo irreprensibile, Melchiorre Maganuco, che vive in una realtà sociale dove forte è la presenza della malavita, coinvolto in un’inchiesta per traffico di droga soltanto perché, in assoluta buona fede, aveva conoscenze e numeri di telefono «sbagliati». Un carabiniere infiltrato, Gian Mario Doneddu, accusato di complicità con i criminali che era impegnato a sgominare. Un padre incarcerato per più di tre anni per violenze mai commesse sulla figlia e assolto con un processo di revisione solo dopo aver scontato l’intera pena.

Ilaria Cavo ha sottratto all’anonimato una serie di vicende kafkiane in cui cittadini innocenti finiscono per sbaglio sul banco degli imputati con accuse talora gravissime, che sfociano di frequente, oltre che in un estenuante processo, anche in un’ingiusta detenzione.
Un penoso e umiliante iter giudiziario, durato a volte moltissimi anni, prima di arrivare a una sentenza di assoluzione, ma spesso fuori tempo massimo e senza un adeguato risarcimento per il danno subito.
Nelle diverse inchieste, sostiene l’autrice, si riscontrano «errori non voluti ed errori invece evitabili, errori rimediabili ed errori irreversibili», sempre e comunque tempi troppo lunghi (dai quattordici anni per alcune sentenze penali fino ai quarantaquattro impiegati per venire a capo di una causa civile).
Pur riconoscendo «i tanti casi di cronaca brillantemente risolti dalle procure», Ilaria Cavo intende mettere in luce «l’altra faccia della giustizia», analizzare il «cortocircuito» che si verifica quando si entra nella spirale dell’errore. Uno sbaglio che si traduce inevitabilmente in un volto e in un nome, nel dramma di persone costrette a vivere, secondo le loro stesse parole, una vita sdoppiata, appesa alle sentenze, con il rischio di impazzire. In attesa di risvegliarsi dall’incubo.

Ne discute con l’Autrice l’avvocato penalista Raffaele Missere, autore, tra l’altro, del volume “Senza titolo. Riflessioni e appunti di un avvocato”, in cui racconta un’esperienza personale di difesa di un imputato accusato di violenza sessuale nei confronti della figlia minorenne affetta da disturbi psichici: un percorso sofferto in cui il dovere professionale dell’avvocato si scontra con la coscienza e la sensibilità dell’uomo.

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